L’ELOGIO DEL CANE (“Eulogy on the dog”) di George Graham Vest  è ritenuto il manifesto di molte associazioni animaliste degli Stati Uniti d’America. Si tratta dell’arringa finale dell’avvocato George Graham Vest che, il 23 settembre 1870, difese un uomo del villaggio di Big Creek, Charles Burden, il cui cane da caccia (un American foxhound) di nome Drum era stato ucciso a colpi di pistola da Samuel Ferguson, guardiano di un allevamento di pecore di proprietà di suo zio, Leonidas Hornsby, cognato dello stesso Burden.

Ferguson aveva sparato solo perché Drum era entrato nella proprietà di Hornsby. Burden chiese un risarcimento e visto che gli era stato rifiutato portò la controversia (nota ufficialmente con la denominazione “Burden v. Hornsby”) davanti al tribunale della Contea di Johnson (con sede a Warrensburg), chiedendo un risarcimento di 50 dollari, il massimo all’epoca consentito dalla legge, a titolo di indennizzo per il danno patrimoniale e morale per la perdita dell’amato cane. Vest, incaricato da Burden di assisterlo unitamente all’avvocato John Finis Philips, esordì in giudizio asserendo che avrebbe vinto la causa o chiesto scusa a ogni cane del Missouri.

«Signori della giuria, il migliore amico che un uomo abbia a questo mondo può rivoltarsi contro di lui e diventargli nemico. Il figlio e la figlia che ha allevato con cura amorevole possono rivelarsi ingrati. Coloro che ci sono più vicini e più cari, ai quali affidiamo la nostra felicità e il nostro buon nome, possono tradire la loro fede. Il denaro si può perdere, e ci sfugge di mano proprio quando ne abbiamo più bisogno. La reputazione di un uomo può essere sacrificata in un momento di sconsideratezza. Le persone che sono inclini a gettarsi in ginocchio per ossequiarci quando il successo ci arride possono essere le prime a lanciare il sasso della malizia, quando il fallimento aleggia sulla nostra testa come una nube temporalesca.

Il solo amico del tutto privo di egoismo che un uomo possa avere in questo mondo egoista, l’unico che non lo abbandona mai, l’unico che non si rivela mai ingrato o sleale è il suo cane.

Signori della giuria, il cane resta accanto al padrone nella prosperità e nella povertà, nella salute e nella malattia. Pur di stare al suo fianco, dorme sul terreno gelido, quando soffiano i venti invernali e cade la neve. Bacia la mano che non ha cibo da offrirgli, lecca le ferite e le piaghe causate dallo scontro con la rudezza del mondo. Veglia sul sonno di un povero come se fosse un principe. Quando tutti gli altri amici si allontanano, lui resta. Quando le ricchezze prendono il volo e la reputazione s’infrange, è altrettanto costante nel suo amore come il sole nel suo percorso nel cielo.

Se la sorte spinge il padrone a vagare nel mondo come un reietto, senza amici e senza una casa, il cane fedele non chiede altro privilegio che poterlo accompagnare per proteggerlo dal pericolo e lottare contro i suoi nemici, e quando arriva la scena finale e la morte stringe nel suo abbraccio il padrone e il suo corpo viene deposto nella terra fredda, non importa se tutti gli altri amici lo accompagneranno; lì, presso la tomba, ci sarà il nobile cane, con la testa fra le zampe e gli occhi mesti, ma aperti in segno di vigilanza, fedele e sincero anche nella morte.»

Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.